di Elisabetta Corradin - #leguidesiraccontano
Ricordo ancora l'emozione che provai quando, circa vent'anni fa, ricevetti la telefonata con cui l'Istituto dei Ciechi di Milano mi comunicava l'avvio del tanto atteso corso di orientamento e mobilità.
Sono non vedente dalla nascita e, per anni, avevo vissuto nella convinzione che spostarmi sempre accompagnata fosse normale, o comunque meglio che uscire di casa con quel bastone bianco che proprio non volevo vedere, perché lo consideravo come un'etichetta in fronte che gridava al mondo la mia cecità, con tutti i preconcetti ad essa associati (solitudine, frustrazione, tristezza cronica ecc.).
Col passare del tempo, tuttavia, la dipendenza dagli altri ha iniziato a starmi stretta: dover rinunciare ad una lezione universitaria, perché l'amica a cui di solito mi aggregavo era influenzata; non potermi fermare a chiacchierare con i compagni di corso, per non fare attendere il mio accompagnatore; aspettare il volontario con cui avevo appuntamento al binario della stazione, per poi scoprire che c'era stato un malinteso sull'orario...
Ma a farmi cambiare idea è stato soprattutto l'incontro, grazie all'Unione Ciechi, con alcuni giovani che, a parità di età e di condizione visiva, si muovevano per la città in completa autonomia e prendevano regolarmente treni e autobus, il che mi ha fatto sorgere spontanea una domanda: perché loro sì e io no? E così ho accettato la sfida, pur sapendo che sarebbe stata molto impegnativa.
Dalla domanda all'inizio del corso è trascorso più di un anno, perché le richieste sono tante e la mobilità autonoma solitamente non si raggiunge in una settimana... La durata del training, nonché la necessità stessa di frequentarlo, dipendono dalla situazione e dalle esigenze di ciascuno. Tuttavia l'attesa non ha diminuito l'entusiasmo e la determinazione, che anzi crescevano sempre più.
Primo giorno, prima sfida: "Ora fai il giro di questo isolato e, quando torni al punto di partenza, dimmi il nome delle vie che hai percorso." Queste le parole del mio istruttore Francesco, che mi lasciarono basita, tanto da indurmi a domandarmi se fosse a conoscenza della mia reale situazione visiva: è vero che riesco a percepire le sagome e i colori, ma da qui a leggere i cartelli stradali... Poi mi si è accesa una lampadina: "Ho capito! Devo chiedere ai passanti?"
Quel primo giorno ho imparato la lezione più importante di tutte: essere autonomi non vuol dire necessariamente riuscire a far tutto da soli, ma significa innanzitutto saper chiedere, senza vergogna, che si tratti di una semplice informazione o di essere accompagnata per un tratto di strada, perché ad esempio un cantiere non previsto mi impedisce il percorso abituale; e quel bastone, che avevo tanto odiato, ora mi tutelava da incomprensioni e brutte figure, segnalando la mia disabilità e quindi giustificando richieste che, altrimenti, sarebbero suonate prive di senso. Anzi, presto scoprii che il più delle volte erano le persone ad offrirmi spontaneamente il loro supporto, senza che lo chiedessi; insomma, gli abitanti della città non erano più una minaccia o un pericolo, come forse inconsciamente avevo temuto, ma una rassicurante fonte di aiuto.
Da allora è iniziato un percorso avventuroso e spesso faticoso, in cui, sotto lo sguardo vigile ma distante di Francesco, percorrevo e (cosa più difficile) attraversavo strade più o meno conosciute e trafficate, esploravo piazze e stazioni ferroviarie, sotto il sole o nel bel mezzo di un temporale, in pieno giorno o nelle buie sere invernali, una differenza che, per chi come me sfrutta più che può il piccolo residuo visivo che ha a disposizione, è tutt'altro che irrilevante.
Quando le tecniche di utilizzo del bastone e le strategie di orientamento erano ormai ben consolidate, ecco arrivare le prove più impegnative, tipo essere letteralmente abbandonata in una zona sconosciuta di Milano, col compito di tornare da sola all'Istituto dei Ciechi, entro un orario stabilito e usando qualsiasi mezzo di trasporto. Ripensandoci, mi stupisco addirittura di avercela fatta! Ma, si sa, la libertà ha un sapore irresistibile e, quando la si intravede, si è disposti a tutto pur di conquistarla.
Grazie a questa nuova autonomia, pochi anni dopo potei accogliere senza timori l'opportunità di lavorare come guida a Dialogo nel Buio, iniziando così la mia vita da pendolare (abito infatti a Busto Arsizio, a circa quaranta chilometri da Milano), legata agli orari dei treni ma libera di andare e tornare senza dipendere da nessuno.
Ancora oggi, ogni volta che cammino da sola su un marciapiede o mi mescolo tra la folla della metropolitana, assaporo una soddisfazione che niente e nessuno potranno togliermi; e il bastone non è più una vergogna da nascondere in un cassetto, bensì un orgoglio da gridare al mondo intero: "Sì, sono non vedente e, nonostante questo, non rinuncio alla mia autonomia!"
Ringrazio di cuore l'istruttore Francesco, l'Istituto dei Ciechi e la mia determinazione: grazie per avermi regalato la libertà!